La sala al primo piano del Museo è dedicata ai Peucezi, che in età preromana occupavano l’attuale provincia di Bari, oltre a parte del Tarantino e della Basilicata interna. Essi costituivano, con i Dauni e i Messapi, insediati rispettivamente nella parte settentrionale della Puglia e nel Salento, uno di tre gruppi minori in cui si articolò il popolo degli Iapigi, secondo un processo di differenziazione, avviato a partire dall’VIII sec. C., al quale concorsero sicuramente apporti culturali esterni.
L’esposizione è articolata per temi, al fine di illustrare i vari aspetti della civiltà indigena della Puglia centrale dall’età arcaica a quella ellenistica:
- il mondo maschile
- il mondo femminile
- i riti del banchetto
- spettacoli e culti
Nelle vetrine disposte al centro della sala, è prevista l’esposizione di alcuni tra i più noti complessi funerari conservati nel Museo Archeologico di Bari, di età arcaica e classico ellenistica, appartenenti ad alcuni esponenti delle aristocrazie indigene, quali quello della tomba IV (di Noicattaro con i pregiati elementi di armatura di importazione greco peloponnesiaca e vasi di importazione corinzia, e quelli delle tombe 2, 7 e 8 di Ceglie del Campo, l’antica Caelia composti da servizi da banchetto con raffinate ceramiche di produzione greca e magnogreca, vasi di produzione locale.
I corredi rimandano ai primi tre temi, quello del mondo maschile, del mondo femminile e del banchetto. Una serie di pregevoli vasi apuli figurati con rappresentazioni attinte al teatro fliacico ed alcuni oggetti rituali quali il noto bronzetto raffigurante Apollo da Ceglie del Campo, rimandano infine al quarto tema.
Alle vetrine, disposte centralmente nella sala, si affiancano, lungo una parete pannelli tematici e piccole vetrine con oggetti particolarmente significativi, come un elmo in bronzo di tipo greco da Bitonto, monili in oro da Noicattaro, una patera in bronzo con manico figurato da Adelfia ed uno strigile in bronzo, al fine di proporre un articolato spaccato della società peucezia, con l’intento di fare emergere la valenza ‘semantica’ degli oggetti rinvenuti nelle sepolture nella comprensione della società. Inoltre, l’approfondimento dei vari aspetti della società peucezia verrà effettuato anche mediante l’analisi di alcune scene dipinte su vasi apuli a figure rosse che raffigurano scene di battaglia e di vita quotidiana, quali i riti del matrimonio e quelli funerari.
Infine, la parete di fondo della sala conterrà una suggestiva riproposizione grafica in grande scala di una porzione di abitato indigeno, quello dell’insediamento di Gravina in Puglia località San Felice, al cui interno saranno collocati alcuni oggetti di uso quotidiano, quali vasi da cucina, da fuoco, da mensa, pesi da telaio, morati, macine, che renderanno ‘tangibile’ la valenza documentaria dei reperti.
Databile al secondo quarto del VI secolo a.C., il complesso si caratterizza per la presenza di una preziosa panoplia difensiva in bronzo di produzione greca, probabilmente argivo-peloponnesiaca: al grande scudo in lamina (applicata su disco in materiale deperibile), con relativa imbracciatura, si uniscono lo splendido cinturone decorato a sbalzo con quadrighe in corsa e le due lamine con scene di combattimento mitico (Achille e Pentesilea, Eracle e il leone di Nemea, Teseo e il Minotauro), probabilmente applicate su di una banderuola in cuoio appoggiata sulla spalla.
Il simposio a conclusione del banchetto era nella società greca un vero e proprio rituale, connesso al culto di Dioniso, che rafforzava i legami sociali tra i partecipanti. I commensali sdraiati su klinai, sorseggiavano il vino, conversando e godendo del piacere della poesia, della musica e della danza.
L’adesione a tale rituale da parte delle comunità peucezie è rivelata dalla composizione dei corredi funerari peucezi di V e IV sec. a.C., che, in ossequio ad una concezione della vita nell’oltretomba quale sostanziale continuità rispetto alla vita terrena, comprendono veri e propri set da simposio, presumibilmente già utilizzati, almeno in parte, in vita dai defunti. Ne sono un esempio i due corredi funerari in esposizione, rinvenuti nel 1929 a Ceglie del Campo, databili alla prima metà del V sec. a.C.
Entrambi articolati in svariate forme di tipo greco atte a contenere, mescere e consumare il vino, i due corredi rimandano tuttavia a livelli socioeconomici differenti, evidenti anche nel contesto della sepoltura. Nella tomba 8, il vaso centrale del servizio da vino è infatti costituito da un cratere indigeno a stile misto (ovvero decorato a fasce e con motivi floreali), mentre l’altro corredo esibisce beni di lusso quale il pregiato cratere a figure rosse importato dalla Grecia e vasellame metallico attribuibile ad artigiani magnogreci.
Ad un aspetto della vita sociale particolarmente importante nel mondo antico, quello del teatro, rimanda la galleria di immagini relative a spettacoli teatrali a soggetto comico, con gli attori (“fliaci”) in maschera e costume imbottito che si esibiscono su semplici palcoscenici lignei, proposta da una serie di vasi apuli a figure rosse definiti “fliacici”.
Ne costituiscono una significativa selezione i quattro crateri in esposizione, ai quali si aggiunge il cratere rinvenuto a Bari, esposto nella sezione del Museo dedicata all’Archeologia di Bari. Ispirate probabilmente ad opere della commedia attica del V e IV sec. a. C., le pieces teatrali raffigurate propongono in chiave comica momenti della vita quotidiana, come nel cratere da Valenzano, oppure miti celebri, come nel cratere da Ruvo di Puglia, con Elena esortata da Dioniso ad abbandonare Menelao per seguire Paride.
La rilevante presenza dei vasi fliacici in territorio peucezio testimonia della fortuna presso le comunità indigene degli spettacoli teatrali a soggetto comico, che venivano probabilmente messi in scena da compagnie itineranti in occasione di festività religiose celebrate all’aperto, in santuari che erano anche luoghi di scambio e contatto tra indigeni e coloni greci.
Rara attestazione del culto di Apollo in area indigena è il prezioso bronzetto rinvenuto nel 1904 a Ceglie del Campo, attribuito al grande bronzista greco Pitagora di Reggio attivo in Magna Grecia nella prima metà del V sec. a.C.
A sepolture femminili “principesche” di età arcaica dovevano appartenere le raffinate oreficerie provenienti da Noicattaro: il pendaglio decorato a sbalzo, probabilmente di importazione greco-orientale, e i due dischi ornamentali decorati in filigrana e a granulazione, di produzione etrusca o greca (forse databili all’VIII sec. a. C.).
Sono invece pervenuti fino a noi i contesti delle sepolture femminili principesche (forse più antiche di due secoli) di età arcaico-classica (VI-V sec. a.C.) della necropoli di Rutigliano-contrada Purgatorio, straordinaria testimonianza del ruolo rilevante rivestito dalle donne peucezie, contenenti ricchi set ceramici da simposio e sontuose parure ornamentali in oro, argento e, soprattutto, ambra.
Una particolare predilezione emerge infatti, per i manufatti realizzati nella preziosa resina fossile proveniente dai mari del Nord Europa, alla quale erano anche attribuite proprietà magiche e terapeutiche. Nel IV sec. a. C. invece si afferma il gusto per i monili in osso come documenta il corredo della tomba 7/1929 di Ceglie del Campo, contenente una serie di fibule in argento e in ferro e pendagli in ambra e osso.
L’ostentazione del rango sociale è però ora affidata soprattutto alle ceramiche apule figurate che rimandano con evidenza al mondo femminile e al piacere di adornarsi.
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