La sezione Archeologia di Bari si propone di illustrare per grandi tappe il percorso di formazione della città sfogliando a partire dall’alto, dal Medioevo fino all’età del Bronzo, la sequenza di strati archeologici conservati nel sottosuolo della Città vecchia, e in parte apprezzati alle fondazioni dello stesso bastione.
Con eccezionale evidenza emergono le vestigia della città bizantina con le sue possenti cortine murarie, i quartieri abitativi, le case turrite, i monasteri, le chiese e le aree cimiteriali. Meno evidenti, perché distrutti e reimpiegati nella costruzione della città bizantina, i resti della romana Barium, che ormai la ricerca archeologica sempre più mirata non manca di rilevare in punti diversi della Città vecchia, attestata da strutture residenziali (domus) e edifici a carattere pubblico.
Di Bari peucezia, che nel IV secolo a.C. appare cinta da possenti mura, ben documentate sono le necropoli, interne ed esterne alle mura, e intervallate alle abitazioni, secondo un costume tipico della Peucezia; nel rituale funerario e nella composizione dei corredi deposti ben si coglie l’assimilazione della cultura ellenica, mediata dai contatti con la vicina Magna Grecia.
Al fondo della sequenza stratigrafica, si scopre infine il primo insediamento di Bari, un villaggio di capanne di lunga durata, tra XVIII e XI secolo a.C., uno dei maggiori della costa pugliese, non estraneo alle rotte micenee tra Adriatico, Ionio ed Egeo, e coinvolto attivamente nella rete di scambi culturali con il Mediterraneo orientale.
All’ingresso della sala sono collocate tre testimonianze epigrafiche delle vicende e personaggi che hanno dato lustro a momenti importanti della vita del monastero. Sulla destra è posta la lastra sepolcrale della badessa Adriana Gerumda, proveniente dalla cappella maggiore dedicata a Santa Scolastica della chiesa del monastero.
Le epigrafi esposte sul lato opposto dello stesso ingresso sono di tipo commemorativo, perché ricordano entrambe la realizzazione di interventi costruttivi nell’area del monastero.
La piccola lastra di marmo rettangolare proveniente dalla facciata meridionale della chiesa del bastione di Santa Scolastica documenta la costruzione, terminata nel 1180, di una chiesa con la dedica a San Basilio.
L’altra epigrafe marmorea ritrovata mutila in uno dei cortili del monastero documenta i lavori e le migliorie apportate dalla badessa Guisanda Sebaste al monastero, conclusi nel 1120.
Per le fasi che vedono Bari nel ruolo di capitale del Catepanato bizantino (X-XI sec.) sono esposte ceramiche d’uso comune, talvolta con semplice decorazione a bande e pallini rossi, di varia provenienza (scavi presso la Basilica di San Nicola e a Santa Scolastica), e da un corredo funerario di vasi grezzi di una tomba a Santa Maria del Buon Consiglio.
Ancor più significative per lo stesso periodo sono le monete di rame (folles) con gli imperatori di Bisanzio, ritratti singolarmente o insieme a coregnanti e tutori, muniti degli attributi della loro autorità imperiale, la cui diffusa presenza su tutto il territorio regionale ne testimonia il largo impiego nelle comuni transazioni commerciali, anche dopo l’arrivo dei Normanni nel 1071.
Infine quattro frammenti di pitture parietali (fig. 9) dagli scavi nel convento di Santa Teresa dei Maschi, su cui sono visibili la raffigurazione di un volto maschile con la barba ed un altro di più difficile identificazione, oltre al piccolo particolare delle dita di una mano, arricchiscono con minuti frammenti figurativi le testimonianze materiali di una fase storica di Bari in cui, pur inserita nella compagine politica greca-bizantina, dimostra di mantenere una certa autonomia culturale.
Fonti storiche (Strabone, Plinio, Livio, Orazio), reperti archeologici, testimonianze epigrafiche concorrono a delineare il profilo della romana Barium, che divenne municipium (ovvero centro urbano amministrativamente autonomo) dopo la guerra sociale (90-89 a.C.).
Emerge il suo ruolo di importante centro portuale, testa di ponte dei traffici verso l’Oriente e perno del sistema di difesa navale di Roma, collocato in posizione strategica lungo importanti assi stradali, la via Minucia in età repubblicana, la via Traiana in età imperiale. La romanizzazione del centro comportò sicuramente l’accelerazione del processo di urbanizzazione, con la realizzazione di strutture pubbliche e la rimodulazione delle unità abitative (domus), ora nettamente distinte dagli spazi funerari.
Una serie di corredi funerari di V e IV sec. a. C., provenienti dalle necropoli urbane ed extraurbane di Bari, rinvia al processo di ellenizzazione, ovvero di diffusione della cultura greca, che coinvolse tra V e IV sec. a.C. Bari e, in generale, i numerosi e floridi insediamenti della Puglia centrale (l’antica Peucezia).
L’ondata ellenizzante, che ebbe in Taranto il suo centro propulsore, interessò tutti gli ambiti della società indigena, da quello quotidiano a quello funerario, dalle produzioni artigianali alle tecniche costruttive di abitazioni e cinte murarie (in opera quadrata di tipo greco sono le mura di Bari, erette sullo scorcio del IV sec. a.C.).
Di provenienza funeraria è il pregiato cratere (opera del Pittore di Digione, seguace di uno dei più importanti ceramografi della scuola apula, il Pittore di Tarporley) che presenta una rara versione umoristica della nascita di Elena dall’uovo. Il suo proprietario fu sicuramente un esponente dell’elite locale dell’antica Bari, in grado non solo di acquisire un prodotto di eccellenza della ceramografia apula a figure rosse, ma anche di comprendere contenuti e risvolti delle iconografie rappresentate.
Esemplare per la comprensione delle dinamiche culturali in atto a Bari e negli altri insediamenti
indigeni della Puglia centrale nel VI sec. a.C., è il corredo rinvenuto nel 1912 nell’area archeologica di San Pietro. L’iconico cratere a decorazione geometrica rappresenta una significativa testimonianza della produzione vascolare tipica della Peucezia costiera, che l’uso di un solo colore (monocromia) e la scelta di peculiari motivi decorativi (in primis la svastica) differenzia dalla coeva produzione della Peucezia interna.
Le due coppe importate, rispettivamente, da Corinto e dall’Attica e l’olpe (brocchetta) di fabbrica coloniale rinviano alla diversificata rete di contatti commerciali e culturali con il mondo greco, i cui effetti, nell’evoluzione e trasformazione della società indigena, saranno evidenti nei secoli successivi.
Uno dei più estesi abitati dell’età del Bronzo delle coste pugliesi occupò a lungo, e in momenti diversi tra 1800 e 1100 a.C., il promontorio della Città vecchia. Fu identificato nell’area di S. Pietro per la prima volta (1912) da Michele Gervasio, che indagò alcuni suoli riferibili a resti di capanne a m 2.50-3,00 di profondità.
Il restauro di alcuni complessi monumentali siti sulla punta della Città vecchia ha offerto l’occasione per indagini di scavo stratigrafico. Nel 1979 parte di un “fondo di capanna” affiorava sotto il pavimento della chiesa di S. Francesco della Scarpa. Tracce del villaggio sono affiorate anche dal sottosuolo del Monastero di Santa Scolastica con gli scavi 1972, 1975, 1979 e 2015.